Nello scenario imprenditoriale italiano, caratterizzato da un forte radicamento familiare, il passaggio generazionale rappresenta una fase cruciale, soprattutto nel settore alberghiero, dove la passione e la dedizione di una vita spesso si intrecciano con il desiderio di continuità. Per la stragrande maggioranza degli albergatori italiani, titolari di quel 96% di imprese familiari che costituiscono il tessuto connettivo del nostro turismo, l’idea di tramandare l’attività ai propri figli è una prospettiva naturale.
I figli vengono spesso visti come i successori designati nella proprietà e nella gestione dell’hotel, un’eredità affettiva ed economica costruita con impegno e sacrificio. L’albergo è vissuto come un’estensione della casa, un luogo dove si respira quotidianamente l’aria del lavoro familiare e dove le dinamiche aziendali si mescolano con le conversazioni domestiche. L’idea di affidare l’azienda a mani esterne può generare un profondo senso di spaesamento. In un contesto professionale incerto, l’impresa di famiglia assume inoltre il ruolo di ancora di salvezza, offrendo ai figli una prospettiva di stabilità occupazionale, spingendoli talvolta, con maggiore o minore insistenza, verso studi considerati utili per la futura gestione.
Tuttavia, il passaggio di consegne tra generazioni, pur rappresentando una potenziale opportunità di crescita e innovazione per entrambe le parti, può trasformarsi in una fonte di crisi per l’azienda, il patrimonio familiare e, in alcuni casi, per la famiglia stessa se non gestito con lungimiranza e professionalità.
Cosa si trasferisce? Oltre la proprietà immobiliare
Se la proprietà immobiliare dell’albergo può essere trasferita per diritto ereditario, lo stesso principio non dovrebbe valere per la sua direzione. Le competenze manageriali richieste per guidare un’impresa complessa come un hotel non possono essere semplicemente “passate” con un atto notarile. La scarsa formalizzazione e standardizzazione tipica di molte aziende a conduzione familiare, dove la conoscenza e il potere decisionale sono spesso concentrati nelle mani del “padre-fondatore”, rende difficile sia il “lasciare il comando” per l’imprenditore, che fatica a delegare e a riconoscere in altri le proprie capacità, sia lo sviluppo dell’autonomia decisionale del resto dello staff, successore incluso.
L’immenso bagaglio di competenze del “capitano d’azienda”, spesso basato sull’intuito, sull’esperienza pratica maturata in anni di lavoro sul campo, se non viene formalizzato e tradotto in procedure operative concrete, rischia di disperdersi al momento del passaggio di testimone. Trasferire la direzione di un albergo significa trasmettere al successore i valori, la cultura aziendale, lo spirito, gli obiettivi e la visione per il futuro, unitamente alle strategie e alle procedure di gestione. Non si tratta di una mera successione, ma di una pianificazione che preveda la sistematizzazione delle conoscenze da trasferire, la fiducia nelle capacità del successore e una delega di responsabilità e compiti progressivamente maggiore. Un percorso graduale, in cui si “crea insieme”, facilita il passaggio sia per la vecchia generazione, che vede la propria eredità intellettuale perpetuarsi, sia per la nuova, che acquisisce sicurezza e autonomia con il supporto e l’approvazione del predecessore.
A chi si trasferisce? Talento e merito al primo posto
Superato lo scoglio del “cosa” trasferire, si presenta un’altra delicata questione: “a chi” affidare le redini dell’azienda? In contesti familiari con più potenziali successori, la scelta può diventare complessa, rischiando di innescare dinamiche competitive e gelosie. Affrancandosi da logiche anacronistiche basate sull’età o sul genere, è fondamentale riconoscere che ogni individuo possiede caratteristiche e competenze uniche. La suddivisione chiara di ruoli, compiti e responsabilità, definita in accordo con i figli, permette di individuare il profilo più adatto a ciascuna posizione, minimizzando il rischio di conflitti familiari.
Anche in presenza di un unico erede, è cruciale applicare con fermezza il principio che in azienda si entra per capacità e merito, non per diritto di nascita. Valutare obiettivamente le reali competenze dei giovani, magari con il supporto di esperti esterni, permette di assegnare a ciascuno il ruolo più consono, favorendo la formazione e la crescita professionale. In alcuni casi, è necessario avere il coraggio di ammettere l’inadeguatezza di un figlio per un determinato ruolo, cercando soluzioni alternative per la direzione aziendale.
Come si trasferisce? Un passaggio di consegne graduale e benpianificato
Il passaggio generazionale è un processo intrinsecamente rischioso se non attentamente pianificato. Chi subentra alla direzione deve non solo possedere le competenze necessarie, ma anche conquistare la fiducia e il rispetto dello staff, un aspetto tutt’altro che scontato. L’età ideale per iniziare a pensare e predisporre la successione si colloca tra i 45 e i 55 anni, un periodo che consente di gestire il processo con il tempo e l’energia necessari, evitando passaggi affrettati o, al contrario, procrastinati eccessivamente.
Uno degli errori più comuni è sopravvalutare le capacità teoriche del successore e sottovalutare le difficoltà legate alla mancanza di esperienza pratica. La gestione concreta di un’azienda alberghiera differisce significativamente dai modelli teorici studiati. Una “gavetta” formativa in strutture esterne alla famiglia si rivela spesso fondamentale per permettere ai giovani di confrontarsi con dinamiche diverse, acquisire autonomia e costruire la propria credibilità.
Al contrario, un passaggio di consegne vissuto come una perdita di ruolo o dettato dal timore dell’inadeguatezza dei figli può portare a un inserimento superficiale dei giovani in azienda, con le redini saldamente nelle mani del capofamiglia. Questa situazione rischia di compromettere la capacità del successore di gestire l’hotel al momento del reale passaggio di testimone e di generare resistenze da parte del personale.
La prospettiva da adottare non è quella dell’abbandono, ma quella di promotori della continuità nella direzione familiare, della crescita dei propri figli e dell’azienda stessa, pianificando la successione per tempo e con lungimiranza.
Il “Patto di Famiglia” e il percorso di crescita dei giovani
Considerando le statistiche che evidenziano la difficoltà per le aziende familiari di superare indenni le generazioni successive, è fondamentale distinguere chiaramente tra dinamiche familiari e logiche imprenditoriali. Alcuni imprenditori adottano il “Patto di Famiglia”, un insieme di regole e principi guida che disciplinano i rapporti tra famiglia e impresa, definendo criteri per l’ingresso in azienda, la remunerazione, il percorso di carriera e la risoluzione di eventuali conflitti.
Per un inserimento proficuo dei giovani nell’impresa familiare, gli esperti suggeriscono un percorso graduale che prevede:
- Conseguimento di una laurea in discipline affini al ruolo futuro.
- Esperienza lavorativa “a bottega” per alcuni anni in una struttura alberghiera non familiare.
- Inserimento nell’albergo di famiglia solo dopo aver acquisito solide competenze e risultati significativi.
- Eventuale conseguimento di un master dopo aver maturato esperienza sul campo.
Un percorso di questo tipo, unito a un inserimento graduale, favorisce il rispetto da parte dei collaboratori e permette al futuro dirigente di conquistare la leadership grazie alle proprie capacità, non per il solo cognome. È importante frenare i figli eccessivamente ambiziosi, incoraggiandoli a fare la propria “gavetta”, e al contempo spronare i più titubanti, affidando loro responsabilità e autonomia per favorire la crescita e la fiducia in sé stessi.
In conclusione, il passaggio generazionale nell’hotellerie è una sfida complessa che richiede pianificazione, lucidità, capacità di distinguere tra affetti familiari e logiche aziendali, e la volontà di investire nella formazione e nella crescita dei futuri leader. Solo così la tradizione familiare potrà incontrare l’innovazione e garantire la continuità e il successo dell’impresa nel tempo.