Aumento dell’imposta di soggiorno per gli Hotel

23 Febbraio 2023

Lo spettro di nuovi incrementi delle tasse di soggiorno agita il settore alberghiero. La reazione degli operatori del ricettivo e le possibili soluzioni alternative, sempre comunque nell’ottica di rifornire le casse comunicali di risorse utili al miglioramento dell’offerta turistica

Con l’approvazione di un emendamento all’ultima Manovra di bilancio, il valore dell’imposta di soggiorno potrà infatti essere aumentato sino a 10 euro dai capoluoghi a maggior vocazione turistica: fra quelli ritenuti tali nel 2023, oltre alle due città toscane, anche Venezia, Napoli e Rimini, contando un numero di visitatori almeno 20 volte superiore ai propri residenti.

FRONTE DI OPPOSIZIONE

Il sindaco Dario Nardella è stato il primo e al momento l’unico, ad avallare la possibilità di aumento, nonostante l’aperta opposizione della categoria alberghiera.

Gli albergatori sono ancora pesantemente provati dagli effetti della pandemia e, nel caso in cui la volontà di aggravio sia confermata, non farà che trasformare Firenze nella città con l’imposta di soggiorno più cara in Italia, oltre che in Europa: basandosi sul precedente criterio di riscossione, che prevede un euro d’imposta per numero di stelle dell’hotel, i più danneggiati sarebbero i visitatori di fascia media, famiglie per la maggior parte.

Valido per il solo territorio cittadino, il provvedimento rischia poi di reindirizzare i flussi di pernottamento sui Comuni nell’immediato circondario, con ulteriore aggravio della già bassa marginalità fiscale di Firenze rispetto, ad esempio, ad altre importanti destinazioni come Roma o Venezia.

Con un buco di bilancio di 25 milioni solo per il turismo (secondo stime Federalberghi Firenze) e la mancata riscossione d’imposta di oltre 10mila alloggi, per Bechi il capoluogo fiorentino avrebbe dovuto concentrarsi sul recupero fiscale, anziché sul rafforzamento della tassazione. Il livello dei servizi offerti non giustifica infatti l’idea dell’amministrazione comunale, a differenza di una “tassa di scopo” richiedibile, per un importo minimo, ad altre categorie che beneficiano degli effetti della filiera turistica.

POS COMUNALE PER LA RISCOSSIONE

Dal momento che la quota viene richiesta dal Comune in contante, ma finisce per esser poi pagata in modalità elettronica, l’albergo è costretto a farsi carico di un ulteriore costo dovuto alle commissioni delle carte di pagamento. Per un hotel da 60 camere, significa coprire di tasca propria quasi 200 euro al mese su 5mila riscossi in alta stagione a favore del Comune. Certo l’imposta può rivelarsi utile alle politiche amministrative, ma appare incomprensibile quando nell’arco di pochi chilometri varia sensibilmente da città a città, senza aver neppure a disposizione dati dettagliati su quanto sia poi reinvestito a favore del turismo”.